Lavori  Matera. L'anima del sasso  [2]

Matera. L'anima del sasso

007bisPer molti della mia generazione Matera ha significato la questione meridionale vissuta come questione nazionale, esigenza di una unità che non si poteva dire tale senza superare divisioni e ineguaglianze. Inoltre, era difficile immaginare questa città senza pensare a Ernesto de Martino e alla sua spedizione in Lucania con i suoi studi sulla magia nel mondo contadino, alle foto di Franco Pinna, ma soprattutto era forte l’influenza della lettura di “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi. Non posso negare che queste suggestioni  siano presenti in questo  lavoro fotografico, ma esso  nasce anche da altri elementi. Camminando per tortuose strade, vedendo antri profondi ed erba che avvolge i sassi, ci si rende conto che  Matera diviene una grande metafora, quella del  trascorrere del tempo con la sua lenta perdita della memoria della civiltà contadina del Sud.
Ho subito avuto la percezione che fotografare oggi Matera significasse cogliere i labili segni di un mondo scomparso, di una civiltà fatta di dolore e fatica, in continua lotta contro una natura e una società ostile. Ogni brandello di muro, ogni vecchio portale, un antro con i muri segnati dalla muffa, i resti di un caminetto, quei cespugli che nascono e si inerpicano nel sasso, ultimo baluardo contro l’inciviltà degli uomini, diventano i segni di una civiltà lontana. Sono tracce di una esistenza con i suoi riti, le sue tradizioni e sedimentazioni culturali. 
In questo lavoro non ci sono uomini, eppure essi sono in quei sassi, in quei vecchi portoni, in quelle serrature arrugginite, in quelle  marginette con immagini sacre, simbolo di devozione e disperazione, rassegnazione e speranza. La loro voce esce da quelle grotte oscure, emana  dalla fuliggine sui muri, e una vecchia cisterna d’acqua e resti di un frantoio ci raccontano storie antiche, ci parlano della secolare pazienza con cui l’uomo  ha piegato la natura.
La fotografia ascolta discreta, attenta, muta testimone, indaga e vede ciò che l’occhio non riesce più a scorgere, illumina il silenzio  e coglie l’anima della materia.

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