libri  Luci d'Ombra  [1]

Luci d'Ombra

Viaggio per le antiche stanze dell'ex ospedale psichiatrico di Maggiano
Pezzini Editore, Viareggio, 2010

LuciOmbraCopertinaDa più di trent’anni con la legge Basaglia i manicomi sono stati chiusi. Anche la fotografia contribuì a denunciare le condizioni disumane in cui vivevano  i malati di mente in alcune di queste strutture e dopo una lunga battaglia la legge fu approvata. Da quasi dieci anni anche gli ultimi degenti hanno abbandonato questa monumentale struttura che si erge su una collina a pochi chilometri da Lucca.
E’ un luogo reso celebre dai bellissimi libri di Tobino che è stato medico qua per molti anni. Ora la struttura è chiusa, quasi abbandonata, preda di vandali, di sbandati, silenziosa testimone del dolore  e del mistero della follia.
Vi sono entrato con le mie macchine fotografiche, con timore, rispetto, sapevo che oggi la fotografia doveva avere un'altra funzione, molto diversa da quella di quel tempo. Non vi erano più volti trasfigurati, gesti inconsulti, nudità. Le urla si erano spente. Dopo trent’anni cosa ci faceva un fotografo in quei luoghi?
Ho attraversato lunghi corridoi abbandonati,  saloni immensi, celle sporche di escrementi, ho visto mura screpolate, soffitti aperti che facevano intravedere neri solai, bagni devastati e finestre che facevano filtrare fili di luce a illuminare poveri resti, cose abbandonate. Ho visto i volti della follia negli ultimi autoritratti abbandonati nel salone dove si svolgevano le attività di pittura, scultura ed altro.
In un silenzio scuro ho incontrato in questi luoghi tracce del dolore, della sofferenza, della follia. M’immaginavo le urla, i deliri, rivedevo personaggi descritti da Tobino, “ la Campani ancora    giovane, bruna, bellissimi gli occhi, la gola lupina”, mi immaginavo i deliri di pazienti abbandonate “all’alga”, nelle celle delle agitate, le vedevo ”pisciare verso l’aria e contro il muro, defecare ridendo…. ..ballare cantando e arruffandosi la chioma come un Bacco  eccitato…”.
Non vi erano più i matti eppure ogni cosa mi parlava di loro, di quel misterioso dio che viveva dentro di loro, ho fotografato il buio del dolore, della follia, ho gettato la luce della fotografia nei resti delle vite, nei segni labili che il tempo lasciava.
Cosa resterà di Maggiano, di questo castello, che nei secoli è passato da luogo religioso a manicomio, che così tanto ha inciso nell’immaginario della gente di queste terre? In cosa lo trasformeranno gli uomini di oggi che sembrano non avere più il senso della memoria? E quelle antiche scale che sembravano portare in chissà quali inferi, scendere nell’oscuro mondo della follia, dove porteranno? Vi sarà di nuovo vita? Oggi in questo luogo l’urlo della pazzia è avvolto in un grande silenzio. Ma la magia della fotografia è anche quella di penetrare in questo silenzio, di dare voce, seppur flebile e dimessa, frammentaria, a chi sembra non avere più parole, di cogliere quella traccia di dolore e di sofferenza che è propria di quella “misteriosa e divina manifestazione dell’uomo” che è la pazzia.

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